“Non so immaginare la musica se non come la contaminazione di generi e culture diverse. Con i Capital Strokes ognuno ha avuto esperienze musicali diverse che porta nel gruppo. Da tutte queste nascono i nostri brani… vedo la mia band come il CdA di una società che vuole raggiungere un obiettivo e tutti sono d’accordo nel prendere la stessa decisione”
Randy, porta con se un cognome di quelli “pesanti”, la scomoda eredità che certi artisti hanno, quella dell’illustre genitore, che spesso diventa continuo termine di paragone. Nel suo caso, l’illustre genitore è stato Rocky Roberts, ma ha poca importanza, perché Randy ha un suo bagaglio di esperienza, una sua formazione, un suo carisma, una sua grande personalità che supportata da una super big band come i Capital Strokes, fa la differerenza, e va al di sopra di ogni possibile termine di paragone. Per Randy la musica ha un senso solo se sa trasportare, dare emozioni, parlare con un linguaggio universale. La musica di Randy Roberts & The Capital Strokes sin dall’inizio è stata contaminazione. Una complessa fusion di blues, funky, soul, acid jazz, bossa nova, R&B e ritmi caraibici, amalgamati in maniera unica, una carica esplosiva di energia sul palco, capace di travolgere chiunque gli sia davanti, e alla quale è difficile resistere. Il tutto reso possibile dalla competenza, la pazienza e la maestria di Randy nel dirigere questa big band, con sacrificio ed abnegazione, perché come dice lui: “Suonare con una band come questa significa stare in un continuo work in progress, dove si prova di continuo, c’è tanto lavoro di arrangiamenti, c’è da muoversi di continuo”.
Ma quando i risultati arrivano, allora ogni sacrificio si fan ben volentieri. Randy Roberts & The Capital Strokes sono una delle funk band italiane più apprezzate. Hanno partecipato alle due precedenti edizioni del Porretta Soul Festival di Porretta Terme (BO), e la scorsa estate sono stati protagonisti sul palco dello Sperlonga Music Festival. Al momento sono super impegnati con il tour promozionale di “CS” il loro ultimo e straordinario album, e sono già al lavoro per un nuovo disco, il terzo nella carriera di Randy, ed il secondo col marchio Randy Roberts & The Capital Strokes. Hanno aperto concerti di artisti del calibro di Craig David, Phil Collins, Fabrizio Bosso, Natty Fred, Danilo Rea, Martha High, Marcello Rosa ed Alex Britti.
Abbiamo incontrato Randy Roberts in occasione del live romano che si è tenuto sabato 11 luglio nella prestigiosa cornice dell’Elegance Cafè di via Veneto a Roma, uno dei locali jazz più belli e conosciuti nella Capitale, dove inevitabilmente il live che si è tenuto poco dopo è stato un grande successo di pubblico, come sempre per Randy Roberts & The Capital Strokes.
Questo tour che state facendo a supporto dell’album “CS” sta avendo un grande successo, sia in Italia che all’estero. Anzi si direbbe che il successo maggiore viene proprio da oltre i confini nazionali.
“Diciamo più all’estero che in Italia, in quanto l’album “CS” ha un respiro internazionale. Già il nostro genere ha un respiro internazionale. A parte poche realtà di rilievo in Italia, tipo il Porretta Soul Festival, è difficile trovare grandi spazi per il funk, il blues… ma soprattutto ci sono pochi palchi in grado di essere all’altezza di sostenere in maniera adeguata big band come la nostra. Come potrai notare noi siamo dodici elementi adesso, in precedenza eravamo undici, ma per dare maggiore impulso alle parti corali, si sentiva il bisogno di una maggiore solidità sulle voci, abbiamo deciso di aggiungere un’altra voce femminile, unico cambiamento che è stato fatto in questi anni. Siamo una band che ha bisogno dei suoi spazi, che non si trovano facilmente in Italia, all’estero, cominciamo a ragionare in maniera diversa. Ma ci sono anche tanti festival, nel corso dell’estate si può lavorare molto coi vari festival in giro per l’Europa”.
Come nasce il progetto Randy Roberts & The Capital Strokes?
“Il gruppo nasce insieme a me, non ci siamo incontrati per caso, come a volte succede. Spesso sai, ci sono le jam session, e da li nascono le varie collaborazioni. In questo caso noi siamo nati insieme, inizialmente come cover band. Una cosa curiosa, perché noi volevamo fare i nostri brani preferiti di altri artisti blues, funky ed R&B, per far divertire la gente. Poi ad un certo punto ci siamo accorti che i brani che facevamo, nonostante fossero di artisti famosi, erano comunque brani che non conosceva nessuno. Noi li amavamo questi pezzi, tant’è vero che li mettevamo nelle nostre scalette, ma il grande pubblico non aveva idea di chi fossero questi brani. Allora ci siamo detti, ma perché non provare a fare dei brani nostri? Da li è cambiato tutto. È cambiato il modo di intendere sia nostro che di chi ci ascolta, perché un conto è fare le cover di altri artisti, un conto è invece vedere li davanti chi propone la musica che egli stesso scrive, pensare che quello che stai sentendo sono brani di qualcuno che è li presente”.
La maggior parte dei brani dei Capital Strokes ovviamente porta la tua firma.
“Nell’arco di uno spettacolo proponiamo in scaletta circa quindici pezzi, e calcola che di questi quindici, tredici sono scritti da me”.
Dopo questa sera dove andrete ad esibirvi? Quali sono le vostre prossime tappe? Suonerete ancora a Roma nei prossimi giorni?
“Noi adesso abbiamo una tappa il 25 luglio in Umbria. Poi l’11 agosto torneremo a suonare nel Lazio ad Acuto in provincia di Frosinone, abbiamo varie date anche all’estero. A Roma per ora non torneremo a suonare”.
Com’è stata l’esperienza di aprire concerti di artisti del calibro di Craig David o di Phil Collins?
“Dire fantastica è dire poco. Sono esperienze che ti formano ma ti cambiano proprio la vita. È proprio un altro lavoro. Hai contatti con artisti veramente di grande spessore artistico ma anche umano. Hai a che fare con un altro mondo, con persone che vivono la musica diversamente da come la si vive qui in Italia. È una questione di mentalità oltre che di formazione. Io sono contento di respirare comunque, anche nel mio gruppo questa mentalità aperta, questa internazionalizzazione. Anche se io sono nato e cresciuto all’estero, vivo da molti anni in Italia, ma continuo a portare dentro di me questa mia formazione e questa mia mentalità all’interno del gruppo. Ma c’è da dire che tutti noi dirigiamo e portiamo avanti questa band in maniera molto poco italiana, ma molto, molto internazionale. ”
Ed è una vostra caratteristica, essere tutti italiani, ma avere un respiro così internazionale. Solitamente in una big band come la vostra, si cerca sempre l’inserimento del giusto elemento straniero, come quasi fosse una squadra di calcio. Si cerca il turnista inglese o americano, per dare propro quell’immagine di band dal respiro internazionale, magari solo un elemento o al massimo due.
“Noi semmai facciamo il contrario, perché abbiamo bisogno di essere presenti sul territorio, presenti qui. Portare avanti una band come questa non è una cosa facile, c’è bisogno di molto impegno e di grandi sacrifici. Noi lavoriamo molto in studio, facciamo prove, lavoriamo molto sugli arrangiamenti… è un continuo work in progress, ci muoviamo di continuo. E tutti sono coinvolti in questo lavoro, tutti gli elementi ci mettono la loro parte di lavoro nella creazione di un brano, negli arrangiamenti”.
Il modo giusto di dirigere una band come questa, qual è: quella di vederla come i singoli giocatori di una squadra affiatata o come un corpo unico che si muove, dove tutti sono gli organi vitali?
“Immaginati una società dove c’è tutta la parte dirigenziale seduta ad un tavolo per decidere di raggiungere uno scopo, un obiettivo, che so un determinato fatturato per esempio, che ha bene in mente, e tutti i membri di questa dirigenza sono d’accordo per andare in quella direzione per raggiungere quello scopo che tutti vogliono. Tutti concordano nel medesimo piano d’azione per raggiungere quell’obiettivo. Quello è il modo in cui io vedo e vivo la mia band”.
Ma voi venite da esperienze diverse, prima di essere Randy Roberts & The Capital Strokes, oppure tutti partite comunque dalla black music?
“Io ho una formazione personale da sempre legata alla musica black: blues, gospel, R&B, soul, tantissima Motown, che fanno parte della mia cultura. Loro vengono anche da generi diversi. Il percussionista per esempio arriva molto dalla cultura brasiliana, il batterista (Giuseppe “Big Joe” D’Ortona) viene dall’R&B, poi ci sono influenze dal neo soul, insomma, c’è tutta una commistione di elementi che poi si nota nelle nostre canzoni, dove queste influenze sono molto presenti”.
È la contaminazione… quindi la parte forte della vostra musica?
“Diciamo che è la parte forte non solo della nostra musica, ma della musica in generale, qualsiasi genere essa rappresenti: che sia funk, soul, R&B, gospel, reggae, la contaminazione si deve percepire. Non so immaginare la musica se non come la contaminazione di generi e culture diverse. È bello che ognuno dei Capital Strokes, ogni elemento porti dentro il gruppo queste sue origini musicali diverse. Da tutte queste influenze nasce ogni nostro brano”.
È possibile acquistare l’album “CS” di Randy Roberts & The Capital Strokes su iTunes e Amazon e in streaming su Spotify e Deezer.
Foto e video a cura di Mariano Trissati