Che il Porretta Soul Festival abbia raggiunto, a trentacinque anni, l’età matura? Se le agenzie di rating decidessero di scrutinare la manifestazione di “vero” rhythm & blues più importante del mondo come si fa con un’azienda, la direbbero solida, prospera, ispirante fiducia, e certamente non mancherebbero di annotare il suo successo, incredibilmente duraturo anche sul piano commerciale: contando anche i frequentatori dei concerti diurni gratuiti al Rufus Thomas Cafe Stage e delle adiacenti, fornitissime, bancarelle del soul street food, il pubblico nelle quattro giornate si è contato a decine di migliaia. La passione e la testardaggine del suo fondatore Graziano Uliani sono da sempre leggendarie, ma ora il suo vero segreto è l’equilibrio
Memphis è tornata al centro del progetto? Sicuro, con gli agguerriti Bo-Keys di Scott Bomar come nuova house band, ma l’avvicendamento con chi li ha preceduti nel ruolo per sette anni di seguito, non è stato brusco: alla Anthony Paule Soul Orchestra è stato comunque concesso il suo spazio giovedì sera. Il Tennessee ha confermato il lungo feeling con l’Emilia Romagna inviando tre capaci vedette, di fama non solo locale, a mettersi in rilievo tra parti soliste e corali: Katrina Anderson e le sorelle Shontelle e Risse Norman. E anche, in esclusiva prima visione, i Blues Paddlers, al secolo Cedric “Davis” Brownlee e Jan “Samuel” Harris, una recente scommessa del produttore Bobby Manuel, già faro della Stax e curatore di ben altri talenti. Il nome richiama alle pagaie – o racchette – che i due agitano durante lo show, un animato tributo a Sam and Dave. Manuel ha ricevuto l’annuale Sweet Soul Music Award, mentre un’esclusiva targa d’onore “for feeding soul with music and food” è stata conferita al celebre chef modenese Massimo Bottura per il suo impegno nel sociale. Cofondatore con la moglie dell’associazione Food for Soul, Bottura si batte contro la fame nel mondo promuovendo la cultura della lotta allo spreco alimentare che, ha ricordato, rappresenta un terzo del cibo prodotto globalmente.
A Memphis, infine, è geneticamente legato Charlie Wood, anche se ormai risiede a Londra: il suo set di alta classe pesca da un canzoniere meditativo, di scuola jazz blues, e comprende l’epica sigla di apertura del festival, “Rufus Is Back In Town”, una composizione sua e di Uliani.
Artisti di altre aree geografiche e stilistiche Memphis l’hanno degnamente omaggiata: pensiamo alla magnifica eminenza grigia Mighty Mo Rodgers, che esegue il nuovissimo album “Memphis Callin’” con una band distinta, insieme a Luca Giordano e Sax Gordon (che approfitta del viaggio per scoprire un nuovo, gigantesco murale a lui dedicato). O alla lussureggiante newyorkese Robin McKelle, che in serata finale incanterà tutti con “I’d Rather Go Blind”. Tutti, anche chi aveva aggrottato le ciglia per il suo set di sabato, composto degli standard più ovvi e risaputi: da un talento simile era lecito attendersi un po’ di spirito di avventura.
Il brillante John Németh, a sua volta memphisiano di adozione, con brani di varia concezione e struttura (addirittura in formato ska, come “Stronger than Strong”), ha fatto vibrare il sabato sera in un set sorprendente e originale. Riassorbiti i postumi di un complicato intervento chirurgico, si è confermato tra i top del cantautorato in blues con obbligo di armonica, al punto da non temere il confronto a distanza ravvicinata con Curtis Salgado. Il navigato ispiratore dei Blues Brothers, già veterano a Porretta con tre presenze di fila, ha eseguito il suo collaudato set a capo della propria formazione, i francesi Soul Shot.
Presenza di prestigio, il console generale degli Stati Uniti a Firenze, signora Ragini Gupta, mentre annunciava che dal prossimo anno il suo consolato patrocinerà la manifestazione, ha dichiarato che “il soul è la musica più americana che abbiamo e questo festival è considerato uno dei più importanti nel mondo”.
Ma non solo dal nord America si danno lezioni di soul a Porretta, località dove negli anni gli allievi sono stati in grado di emanciparsi dai maestri. È il caso dei bolognesi Groove City e del loro superbo set attorno alla palermitana Daria Biancardi, una cantante potente e sensuale alla cui voce, memore di Aretha e in totale empatia con il pubblico, viene in aiuto un inimitabile linguaggio del corpo, soprattutto in “Proud Mary”, nell’evergreen stracciamutande “I Love You More Than You’ll Ever Know” o in brani legati a Laura Lee e Katie Webster. O degli irlandesi Eamonn Flynn & Conor Brady, protagonisti di un omaggio all’era del film “The Commitments”. O ancora dei giovanissimi funkster francesi Lehmanns Brothers, interpreti di un dinoccolato stile meticcio che guarda sia a Fred Wesley che a Incognito.
Equilibrio, si diceva. Quello che ha voluto assemblare nello stesso festival (in serate diverse) le intuizioni rock, hip-hop e post jazz, oltre ai volumi oltre ogni soglia – del trentatreenne MonoNeon con il folk-funk neo tradizionalista del più vecchio bluesman in circolazione: l’imbattibile novantenne Bobby Rush e la sua partner Mizz Lowe, orgogliosa del proprio debutto discografico “Classy Woman”. È lo stesso equilibrio che ha portato, negli ultimi anni, la kermesse dell’Appennino a trovare un valido alleato in Umbria Jazz, con cui ha condiviso parte degli artisti e della filosofia. Uliani nel tempo ha trovato una sponda preziosa in Carlo Pagnotta, “che da mezzo secolo comanda e amministra saggiamente il più bel festival jazz europeo e ogni anno trascorre quattro giorni di relax a Porretta”. E che, modestamente, è più anziano di Bobby Rush perché ha compiuto novant’anni il 13 agosto e l’altro li fa il 10 novembre! Parlando a Graziano di un certo pianista, Carlo gli ha detto che “se non costa troppo, lo facciamo a Perugia e a Porretta!”. Il soul man, che in confronto è un giovanotto con ben quindici anni di meno, sia di età che di festival, dichiara che se gli esempi sono quelli, allora si può tranquillamente continuare a far progetti per il futuro.
Galleria fotografica a cura di Mariano Trissati (tutte le foto sono visibili anche sulla nostra pagina Facebook).