Il Porretta Soul Festival è orgoglioso detentore del premio Keeping The Blues Alive, che il suo direttore artistico Graziano Uliani ha ricevuto nel febbraio 2017 al salone delle feste del DoubleTree Hotel a Memphis dalle mani di Art Tipaldi, decano dei giornalisti e chairman dell’iniziativa. Per l’edizione 2018, la trentunesima, ha annunciato con civetteria l’intenzione di far sfilare sul palco i candidati a ben quattordici Blues Music Awards, per non dire dell’armonicista Fabrizio Poggi che ha avuto addirittura la nomina a un Grammy nella categoria “Traditional Blues Album”, e di conferire l’annuale Sweet Soul Music Award allo stesso Tripaldi in quanto direttore della statunitense “Blues Music Magazine”
Il blues? A Porretta? Ma quando mai? Siamo forse di fronte a un cambio di rotta, a un riallineamento, a una tardiva conversione? Chi lo conosce, sa bene che il risoluto Graziano si è sempre voluto smarcare dalle dodici battute, dalle chitarre e dalle armoniche. La creatura che ha generato è stata per trent’anni squisitamente intitolata alla più classica Sweet Soul Music, diventandone una vetrina unica al mondo, segnatamente diversa dalle numerose manifestazioni dedicate al blues in Italia e altrove. Ma il blues, che per dirla alla Buddy Guy “è vivo e sta bene”, dimora volentieri dove si celebra una delle più tipiche e amate stagioni della black music. Confermando un paradosso solo apparente: per ascoltare il blues più autentico occorre partecipare a un concerto soul. Niente di meglio che venirlo a cercare proprio in questa Soul City.
Nella serata inaugurale, giovedì 19 luglio, dominata dalla soul woman palermitana Daria Biancardi in compagnia dei Groove City dell’organista Fabio Ziveri, il veterano del boogie woogie Mitch Woods ha dato conto di che cosa sia capace il pianoforte sui terreni confinanti del blues e del rock e la romagnola JBees Band ha eseguito, tra funk, jazz, pop e disco, un tributo alla longeva trasmissione tv “Soul Train”.
Il blues è tornato protagonista in apertura di venerdì, col sole ancora alto sull’Appennino, grazie a Chris Cain, il B.B. King della Bay Area. Lo accompagnava la Luca Giordano Band, una delle formazioni “autosufficienti” – oltre ai memphisiani Bo-Keys, che, budget e impegni paralleli permettendo, molti vorrebbero titolari in pianta stabile in una delle prossime edizioni – che hanno alleggerito il lavoro alla house band californiana guidata dal chitarrista Anthony Paule. Questa ineccepibile Soul Orchestra, chiamata per la quinta stagione consecutiva, include campioni come il tenorista Sax Gordon, l’organista Tony Lufrano e il batterista acrobatico Derrick “D’Mar” Martin e, new entry di massimo interesse, il trio vocale di Larry Batiste, esperto direttore musicale e arrangiatore dei Grammy Awards. La serrata scaletta prevedeva due diretti discepoli di Bobby Bland: il memphisiano Booker Brown, che ha affrontato piccole perle come “Love Is Blind (But The Neighbours Ain’t)”, e dal maestro eredita brani come “I’ll Take Care Of You” e persino il cappello da yachtman in pensione, o il dallasiano Ernie Johnson, in completo rosso fuoco, berretto da baseball da cerimonia e un potente repertorio che comprende una estesa versione di “Dreams To Remember” di Otis Redding. Per Booker questa è non solo la prima trasferta europea, dicono, ma anche la prima volta che ha dovuto salire su un aereo!
Il settore femminile ha schierato giovani personalità come la leggera e vivace Missy Andersen, domiciliata in New Mexico, che un suo buon repertorio originale ce l’avrebbe ma qui opta per “Stand By Me” e “Tell Mama”, la seriosa Terrie Odabi, autrice del polemico “Gentrification Blues”, a proposito di “quel che sta succedendo dalle mie parti, a Oakland”, e l’ottima Lacee, al secolo Lacy Yvonne Reed, voce dei “Juke Joint” contemporanei; il suo proverbiale “Lacee’s Groove” è allusivo e moralista, etnico e universale allo stesso tempo.
Elastico tema principale della manifestazione è stato l’omaggio alla Goldwax, la mitica etichetta discografica memphisiana che negli anni d’oro ebbe come portabandiera O.V. Wright, Percy Milem, Barbara Perry, gli Ovations, James Carr, Spencer Wiggins e Wee Willie Walker. Agli ultimi due, ritornati a Porretta a testimoniare la loro duratura vitalità nel business, si è aggiunto pure Percy Wiggins, fratello di Spencer, in una riuscita ripresa corale degli stessi Ovations con “I Need A Lot of Loving”, una scrittura di Dan Penn e Spooner Oldham. Se per Spencer e per la sua “Uptight Good Woman” gli anni stanno cominciando a farsi sentire, il minuto Walker, classe 1941, è apparso in piena forma. Il merito va anche al brillante comeback architettato da Paule e da Christine Vitale, che gli hanno confezionato su misura le canzoni contenute sull’ultimo lavoro, “After A While”.
Si è assistito al ritorno di John Ellison, con le tentazioni reggae di “If I Had Just One Wish” e naturalmente con “Some Kind of Wonderful”, suo eterno hit con i Soul Brothers Six, e a quello di Swamp Dogg, in prossima uscita con l’album “Love, Loss, And Auto-Tune”, che contiene un cammeo di Justin Vernon dei Bon Iver, che ha manifestato un’insolita insicurezza nel dolersi del “Synthetic World” o nell’invocare “Total Destruction to Your Mind”.
Riflettevamo che i pronostici nella Soul City emiliana non sempre vengono rispettati, e che sovente la scaletta viene variata in extremis. Per aggiungere, però, non per togliere; in contrapposizione alle troppe rassegne che all’ultimo momento annunciano defezioni, qui, al contrario, il cartellone si è allungato, accogliendo due interpreti che si erano iscritti in ritardo: il bluesman californiano Alvon Johnson, che è scorrazzato tra il pubblico eseguendo “Let’s Straighten It Out”, e il soul singer giapponese Haruhiro Aoyama con “Take Me To The River”.
È consolidata tradizione del festival di offrire la domenica un riepilogo delle serate precedenti, consentendo magari a chi non può assistere alla manifestazione completa di goderne un significativo compendio in cui la maggior parte degli artisti hanno un set a disposizione, ancorché accorciato. Non tutti, però: non Chris Cain, né l’immenso Don Bryant che ha rubato lo spettacolo del sabato, quando gli è spettato aprire la serata con l’accompagnamento dei Bo-Keys, la band dal rassicurante aspetto nerd guidata da Scott Bomar. Sull’onda del sontuoso album “Don’t Give Up On Love”, Bryant ha mostrato non soltanto il diretto collegamento con il Memphis Sound di impronta Hi Records ma pure il proprio valore assoluto: fervore gospel e smarrimento profano, comunicativa e ispirazione, arrangiamenti antichi e sfavillante immediatezza.
Ha incominciato con “A Nickel And A Nail”, raggiunto il climax con “How Do I Get There?” e concluso con “I Can’t Stand The Rain”, tanto per ricordare a che famiglia appartiene, anche se il suo ruolo era stato a lungo oscurato dalla figura dell’amata moglie Ann Peebles, della quale fu valido co-autore.
A tutti questi personaggi – a loro modo leggende della porta accanto – è toccato di scrivere, o riscrivere, almeno una pagina della storia e della filosofia della più genuino blues-con-ritmo e dello stesso Porretta Soul Festival. Storia, filosofia e cronaca che hanno costituito l’oggetto del magnifico documentario di Marco Della Fonte “A Soul Journey”, proiettato in prima nazionale al teatro Testoni nei giorni della rassegna.
Galleria fotografica a cura di Mariano Trissati