Dopo lo stop ai concerti dovuto alla pandemia, Roma Jazz & Image, torna a colorare le serate nello splendido scenario del Parco del Celio. Tra i protagonisti della manifestazione, Max Ionata, uno dei più apprezzati sassofonisti italiani che ci ha concesso un’intervista in occasione della tre giorni di Late Night Session tenutasi nei giorni 15, 16 e 17 luglio che lo ha visto protagonista
Dopo due anni di stop a causa della pandemia, tornano finalmente gli eventi live a caratterizzare la torrida estate romana. Tanti gli appuntamenti in città, e tra il grande rock protagonista a Capannelle e al Circo Massimo sdoganato come luogo in cui poter fare musica, il cinema, il teatro ed il cabaret anche il jazz torna a ritagliarsi piccoli spazi, nelle ville, sui barconi galleggianti sul Tevere e sulle terrazze naturali della Capitale. Lo storico Alexanderplatz, luogo principe per gli eventi jazz capitolini, è tornato da ultimo a riproporre il festival “Jazz Image” con ricco cartellone di eventi dal 2 luglio al 2 ottobre. Noi abbiamo seguito le serate del 15,16 e 17 luglio, che vedevano una prima esibizione e poi in seconda serata, definita “Late Night Session” una seconda performance che in questi tre giorni ha visto primo attore il sassofonista Max Ionata che per ogni sera si è presentato con una formazione diversa. Ed è in questa occasione abbiamo avuto la possibilità di scambiare due parole con lui:
Come sono stati questi due anni di pandemia senza live? E come sta andando la ripresa?
“Sono stati due anni particolari, duri per certi versi e proficui per altri, se è vero che ci è mancato il contatto “ fisico” con il pubblico, almeno per quanto mi riguarda sono stati anche un momento di studio, sia sullo strumento che sulle nuove tecnologie e sul capire in che modo arrivare a portare la nostra musica che è il nostro lavoro. È cresciuta la curiosità per l’elettronica dandomi modo di migliorare la mia cultura di fonico e crearmi un piccolo studio musicale in casa per permettermi di realizzare sia dei “soli” che ho donato ad altri artisti, sia delle collaborazioni online, con concerti improvvisati sulle nuove piattaforme e le cui registrazioni abbiamo poi messo sui nostri canali Youtube (Quarantine Jam Session ad esempio) o comunque online facendoli girare non solo in Italia, ma in tutta Europa. Nei momenti di pausa dalla pandemia siamo riusciti a tornare su un palco ed è stato come assaporare quel piatto che non mangiavi più da tempo, ascoltare gli applausi, il feeling che si crea con i colleghi. Certamente le tournée che si facevano prima specialmente in Oriente non sono ancora possibili in pieno precludendo una gran mole di lavoro”.
Già in una altra intervista (qui) ci parlasti del fascino del jazz di poter cambiare formazione molto spesso, spiegaci meglio se secondo te questa cosa e raccontaci, come nasce l’idea di questi tre giorni di cambiare formazione ad ogni esibizione.
“Per quanto riguarda queste serate, sono stato invitato dal patròn Eugenio Rubei a creare delle situazioni di “atmosfera” per accompagnare questa location già affascinante di suo con il Colosseo dietro al palco che quasi distrae dalla musica. Essendo concerti di quasi mezzanotte ho cercato delle soluzioni che permettessero un mood soft. La prima formazione mi vede con il contrabbasso di Jacopo Ferrazza e la chitarra Enrico Bracco (15 luglio). La seconda mi sono accompagnato con Hammond e Batteria scoprendo un giovane e talentuoso all’organo Vittorio Solimene ed un amico di vecchia data come Marco Valeri alla batteria (16 luglio). Ho infine concluso mantenendo la scelta di formazioni “pianoless” con Francesco Puglisi al contrabbasso e Francesco Merenda alla batteria, mantenendo sempre un repertorio sia di classici che di pezzi inediti o di artisti che amiamo tutti o di amici o nostre stesse composizioni. In realtà nella serata del 17 luglio trovandosi poi tra il pubblico un amico come Roberto Terenzi virtuoso del pianoforte, ci son stati pezzi in cui il trio è divenuto un quartet includendo lo strumento più classico. Invece per il discorso se sia la musica jazz a favorire i cambi di formazione , è in effetti contenuto nel genere la necessità di cambio di colore e di umore ,di dimensione, inoltre lo studio del jazz ci permette con la vastità del suo repertorio di non essere vincolati ad esso, la “letteratura” degli standard è talmente vasta da permetterci improvvisazioni o la lettura diretta dello spartito”.
Progetti per il futuro che può già accennarci?
“Al momento sto collaborando con un bassista svizzero (Dominik Schürmann, ndr) sia su un disco che con dei concerti, perché in Europa per fortuna sono ripresi in maniera più importante e poi da due anni sono passato anche ad insegnare improvvisazione al conservatorio di Padova con grande soddisfazione ed entusiasmo, cambiando certamente l’approccio al mio lavoro”.
Galleria fotografica a cura di Giampaolo Vasselli