Uno dei più grandi jazzisti contemporanei, ci racconta i suoi progetti, le sue idee sulla musica, il suo passato, le sue collaborazioni e il suo nuovo disco, in un’intervista a tutto tondo, in occasione del suo live al BePop Jazz Club di Roma, lo scorso venerdì 11 dicembre
In attesa del suo nuovo album in uscita per il prossimo mese di aprile, Max Ionata porta in tour un nuovo progetto in trio, insieme al contrabassista Daniele Sorrentino e al batterista Roberto Pistolesi.
Max Ionata, è considerato uno dei maggiori sassofonisti italiani della scena jazz contemporanea che in pochi anni ha conquistato l’approvazione di critica e pubblico riscuotendo sempre grandi successi in Italia e all’estero.
Ha collaborato con grandi musicisti tra i quali: Robin Eubanks, Reuben Rogers, Clarence Penn, Lenny White, Billy Hart, Alvin Queen, Joe Locke, Anne Ducros, Steve Grossman, Mike Stern, Bob Mintzer, Bob Franceschini, Hiram Bullock, Joel Frahm, Miles Griffith, Anthony Pinciotti, Jon Cowherd, John Benitez, Dino Piana, Roberto Gatto, Dado Moroni, Stefano Di Battista, Gegè Telesforo, Giovanni Tommaso, Flavio Boltro, Furio Di Castri, Fabrizio Bosso, Enrico Pierannunzi, Mario Biondi, Ornella Vanoni, Sergio Cammariere, Renzo Arbore e molti altri.
Oltre settanta i dischi, tra suoi e di altri artisti che lo hanno visto impegnato con il suo sassofono in fase di registrazione. Nel corso del live al BeBop Jazz Club di Roma, nel quale si è esibito ancora una volta con una formazione a tre, avendo per gli ultimi quattro pezzi come special guest il pianisti Roberto Tarenzi, Max Ionata ci ha concesso questa intervista dove ha raccontato di se e della sua musica, annunciando di aver quasi ultimato il suo ultimo disco. Un’intervista, conviviale e piacevole con un grande maestro del jazz contemporaneo, un nome di assoluto rilievo che abbiamo avuto il piacere immenso di conoscere nella sua semplicità.
Questa sera ti presenti di nuovo in formazione a tre con due nuovi musicisti. Tu cambi spesso, è una caratteristica di chi fa jazz, ma è anche una tua scelta personale quella di confrontarti sempre con nuovi musicisti, incontrare tecniche diverse, esperienze diverse?
“La risposta l’hai data già tu nella tua domanda. Effettivamente la cosa bella di questo, anche solo di essere un jazzista sta proprio nel fatto di potermi relazionare con diverse personalità, diversi tipi di musicisti ed avere la possibilità anche di attingere alla loro esperienza al loro modo di esprimersi. Quello che cerco di fare è quello di avere più situazioni musicale per riuscire un po’ ad esprimere quelle che sono le mie caratteristiche. Ogni volta scelgo i musicisti in base a quello che in quel momento voglio fare”.
Quindi è una scelta del momento, non c’è un pragmatismo pregresso? Tu scegli in quel preciso istante quello che vuoi fare e con quali musicisti?
“Assolutamente si. E scelgo i musicisti più adatti a quella situazione”.
Per esempio, tu che momento stai vivendo ora dal punto di vista musicale? Potremmo definirlo un momento di riflessione, di rilancio?
“Ma guarda, è comunque un momento creativo. Per fortuna riesco sempre ad avere voglia di fare, di creare situazioni, di mettermi in discussione. Ho appena registrato un disco con due musicisti straordinari in locali con un Hammond Trio. C’è questo ragazzo meraviglioso che si chiama Alberto Turrisi, milanese, che adesso vive a Roma e che suona appunto l’organo Hammond, alla batteria con lui c’è Fritz Landsberger che è un batterista e vibrafonista olandese, molto conosciuto in Europa, in Italia sta iniziando a lavorare un pochettino anche con me. Questo disco uscirà in aprile, cerchiamo di rinnovare quella che è un po’ l’idea che mi accompagna della musica. Cerco di mettere sul disco quello che mi viene in mente”.
Principalmente la tua musica da quale ispirazione parte? È un’ispirazione momentanea che trae spunto da qualche riflessione, qualcosa che hai letto o sentito e lo trasformi in musica?
“Da tutte queste cose messe insieme. Anche l’ispirazione a comporre viene sempre da quello che ascoltiamo, quello che viviamo nel quotidiano. Può succedere che vedendo un bel film puoi rimanere colpito da qualcosa che poi quando torni a casa lo trasformi in un brano, può succedere. Non è successo molte volte, però debbo dire che un’emozione può trasformarsi in musica. In questo ultimo progetto ho scritto tutti i brani nella mia scrivania, la mia stanza con il pianoforte, uno spazio molto bello dove riesco a concentrarmi e dove sono riuscito a scrivere tanta musica che poi ho proposto allo studio di registrazione, questa volta. Altre volte le ho scritte a Roma… dipende… dal momento”.
In questo progetto, in questo disco è la prima volta che tu suoni con questi due musicisti
“Non proprio, con Alberto già in precedenza abbiamo portato in giro un Hammond Trio nel quale ho ospitato anche Gegè Telesforo con tutto quello che è, batterista, cantante, poliedrico ed istrionico...”
Com’è stato suonare con lui?
“Io con lui ho collaborato moltissimi anni, cioé abbastanza. Prima io ospite dei suoi progetti, per due dischi per la precisione e poi lui ospite di questa mia situazione negli ultimi due anni. Ci conosciamo già da molto, la stima è reciproca”.
Tu poi hai avuto tante altre prestigiose collaborazioni, veramente tante…
“Si, ho avuto molte fortune“.
Le definisci fortune? Non meriti?
“ Io vidi una volta un’intervista a Domenico Modugno. Lui diceva che per avere successo c’è bisogno di tre cose: la prima è fortuna, la seconda è fortuna e la terza è fortuna”.
Ma il talento conta?
“Il talento è sempre una questione di fortuna. Cioé, devi avere fortuna ad averlo. Il talento non si conquista, sei fortunato se ce l’hai. Se hai una situazione familiare che ti permette di averlo e di essere un musicista”.
Tu ce l’hai avuta?
“Ce l’ho avuta in una fase ben precisa, conoscendo mia moglie che è musicista e mi ha permesso di fare. Mio padre non era proprio entusiasta che io facessi il musicista. Ma sai, a quei tempi non era facile”.
Il jazz quando lo incontri?
“Io già da ragazzo ero abbastanza innamorato di questo genere, di queste musiche che non erano la musica pop. Vivendo in un paese di provincia non avevo l’opportunità di influire su questo genere di musica. Ho avuto la fortuna di aver degli amici che approvavano la mia iniziativa e mi hanno introdotto in questo mondo”.
Il sassofono è stato il tuo primo amore?
“Assolutamente si. Sin da quando suonavo nella banda del paese, quando avevo otto anni. Chiesi subito al maestro di suonare il sassofono. Il maestro mi diede un sassofono soprano, io gli dissi: “ma questa è una tromba”. Lui mi corresse e mi disse che si trattava di un sassofono soprano. Ero così eccitato all’idea di avere quello strumento musicale che lo accettai di buon grado”.
Si è prestato poi bene per il tuo percorso musicale?
“Dopo un anno è diventato un sassofono tenore, perché feci scambio con un amico in banda. A me piace il sax tenore e da allora ho suonato il tenore, da allora”.
Il tuo nuovo disco è quasi ultimato, abbiamo detto che uscirà in aprile, quindi le tracce ci sono tutte ed è a buon punto… oltre al disco che progetti hai?
“Stiamo lavorando ai suoni, al mixaggio, alle parti finali. Le tracce ci sono tutte. No, ma io debbo fare ancora molte cose, anche all’estero. Adesso partiamo per tre concerti in Sardegna, sempre con questo trio, ci sono tante cose, che ora non ricordo ma sono in progetto per l’immediato futuro”.
Quindi con gli attuali musicisti ti stabilizzi un po’…
“Penso di si. Anche se poi a me piace cambiare spesso per fare musica. Anche se so che in Italia è un po’ difficile”.
In effetti, ti chiedo un tuo parere personale. Penso che tu condividi il fatto che troppi jazzisti si stanno un po’ troppo concedendo al pop. Non ti chiedo un giudizio su di loro, ma una tua idea: concedersi troppo al pop, non significa un po’ snaturare completamente le proprie origini jazz?
“Penso di si. È vero che da una parte si avvicinano persone che non conoscono questa musica, però è anche un’arma a doppio taglio, perché comunque confonde. Confonde il vero jazz con quello che magari è una canzoncina di musica popolare”.
Tu ti ritieni un purista del jazz, o sei comunque aperto ed interessato a nuove esperienze, nuovi percorsi?
“Io mi ritengo molto aperto, anche perché comunque mi è capitato di suonare in album pop, anche in gruppi che non facevano proprio jazz o viaggiavano ai limiti del jazz. Però io mi ritengo un jazzista, io vivo come un jazzista. Mi piace improvvisare su tutto”.
Improvvisi anche nella vita?
“Ma si. Ma si. Veramente. Perché non mi piace programmare. Non me la sento di dire che improvviso tutto perché sarei falso. Non si può. Però quando posso, improvviso”.
Nascere jazzisti o diventare jazzisti fa la differenza. Forse tu sei proprio nato jazzista…
“No, non credo. Anche perché sono nato in una realtà particolare dove non c’era questa cultura, ma ho fatto di tutto per diventarlo. Oggi mi sento un jazzista e mi fa piacere“.
Ti senti realizzato?
“No, realizzato no”.
C’è sempre da migliorare?
“Beh, quello sicuramente”.
Intervista a cura di Daniele Crescenzi
Foto e Video a cura di Giampaolo Vasselli