Cantautrice, attivista, entertainer, salace dj radiofonica nonché a lungo battagliera voce della comunità afroamericana di Seattle, Lady A – al secolo Anita White – si è ritrovata al centro di uno strano paradosso della “cancel culture”
Un trio country di Nashville, Lady Antebellum, preoccupato che il riferimento nel nome rimandasse al Sud schiavista ante-guerra di secessione, nel 2020 sceglie di cambiarlo, abbreviandolo in Lady A.
La decisione matura in seguito alle tensioni razziali dopo l’assassinio di George Floyd, ma genera l’immediata opposizione di White: fermi tutti, non potete, Lady A sono io. I nashvilliani le fanno causa, sostenendo che il loro marchio è depositato e tocca caso mai ad Anita di doverlo abbandonare. La corte del Tennessee ha per ora dato loro ragione; una contro-causa, intentata da White presso il tribunale dello stato di Washington, non è stata risolutoria e, in assenza di accordo extra-giudiziale, si andrà a processo il prossimo anno, con la White intenzionata a chiedere alla controparte 10 milioni di dollari di risarcimento. E così, in nome del “politically correct”, un trio di bianchi adotta una nuova identità per smarcarsi dalle connotazioni razziste e porta davanti al giudice una blueswoman nera (ma White di cognome!) che quella identità ha usato da sempre. White ritiene “un insulto per me come musicista e come donna nera” che quelli dicano che “le vite nere contano” e poi “mi portino via il mio stesso nome”.
Anita sa di non essere la prima a doversi battere. “Penso ad artiste che sono venute prima di me, come Denise LaSalle, uno dei miei idoli nel blues, Ella Fitzgerald, Rosetta Tharpe, Big Mama Thornton. Se la sono vista dura, ma ce l’hanno fatta”, dice in un’intervista a Rolling Stone. “Io sono stata cancellata, una cosa che questo paese sa fare molto bene: annullare la gente nera e chi è privo di diritti”. In “For The People In The Back (All I Got)”, un efficace blues-con-ritmo contenuto nell’ultimo lavoro “Satisfyin’“, non esita a denunciare il misfatto. Nel finale cita pure Bettye Lavette: “vi siete presi la nostra cultura, la nostra musica, la nostra capacità artistica; lasciateci almeno il nostro nome”.
L’album non è solo polemica, naturalmente. Orgogliosa del suo ruolo sociale, cantrice di un ambiente che conosce a fondo, “The Real Lady A” – nata nel Nord-ovest ma con radici in Louisiana – è interprete spigliata, di buona intonazione e incline a incisi parlati, per catturare l’attenzione e stimolare la complicità del popolo del blues. Buona forchetta, avveduta ascoltatrice e sapiente arringatrice, accosta il groove alla cucina tipica e agli aromi dal chitlin circuit. Accade in “Miss Beula Mae”, omaggio alla tenutaria di un juke-joint che dispone di “una casa piena di musica e zuppa di cavoli e tutto il pollo che volete”. O, ancora più esplicitamente, in “Blues, Soul, Catfish and Fried Wings”, dove la musica incontra portate di pesce gatto e ali fritte. E si conferma dispensatrice di messaggi positivi, dall’orgoglioso “Big Momma” al trascendente “Heaven Help Us All”. Confermandosi personaggio di tutto rispetto, non solo nel suo genere. E peccato se gli ex Antebellum la pensano diversamente: “se quelli credono che io sia irrilevante, commettono un grave errore”.
L’album “Satisfyin’” di Lady A, è disponibile su Amazon (qui), in streaming su Amazon Music Unlimited (sottoscrivendo un abbonamento qui) e Apple Music (qui).
1 commento
Thank you so very much for the review of my new CD “Satisfyin” and for recognizing social injustices in this country. Satisfyin’ will let the listener know, no matter what happens – my life, music is Satisfyin. Lady A, USA