La band romana, dopo il trionfo sanremese, riporta la vittoria all’Italia a 31 anni di distanza dall’ultima affermazione. Superata la Francia e la Svizzera in un finale al cardiopalma
“Rock will never die!” grida dal palco di Rotterdam il frontman dei Måneskin, dopo il trionfo. Non è una rock band britannica, anche se, Damiano a parte, hanno tutti nomi molto british. Non è nemmeno una band scandinava, a dispetto del nome stesso della band, che in danese significa “chiaro di Luna”.
Fanno hard rock, nella maniera più lontana possibile dallo stereotipo di musica italiana. Eppure sono loro, con la l’energia dei loro vent’anni, compiuti anche da poco, per alcuni membri del gruppo, che hanno riportato l’Italia sul tetto d’Europa musicalmente parlando.
Era il 1990, quando il più classico dei paladini del nostro “bel canto”, Toto Cutugno, s’imponeva con “Insieme: 1992”, brano che celebrava la prossima caduta delle frontiere doganali all’interno dell’allora Comunità Economica Europea, che di li a due anni, sarebbe diventata l’Unione Europea che oggi conosciamo. Una competizione di musica che metteva insieme il meglio possibile del vecchio continente, non poteva rimanere indifferente al messaggio di pace, fraternità e unità dei popoli europei, che veniva lanciato da quel brano del Toto Nazionale. Del resto erano gli anni della grande euforia in attesa del 1 gennaio 1992, e di quello che sarebbe venuto dopo. Ovunque si respirava l’elettricità nell’aria per l’Europa del domani, attesa come la terra promessa, come il nuovo Eden. In quel contesto Toto Cutugno fece centro, perché non poteva essere altrimenti.
Prima di lui, solo nel 1964, un’allora sedicenne Gigliola Cinquetti, portò il brano vincitore del Festival di Sanremo, “Non ho l’età”, il più classico dei brani italiani possibili. Poi mai più nulla per il nostro Paese fino a ieri sera.
Il televoto ha lanciato una sfida la cardiopalma con la Svizzera, superata la Francia, la pur nobile esibizione di Malta, che prima dei voti popolari erano davanti al gruppo romano, fermo al quarto posto, per decisione della giuria demoscopica, quell’organismo misterioso che aleggia sui festival, del quale si sa poco o nulla, e l’unica cosa che si riesce ad intuire, in base ai gusti musicali che esprimono è l’età media dei componenti, sempre abbastanza alta, probabilmente tra i 70 e gli 80 anni. Il sogno sembrava sfumato per l’ennesima volta.
L’Italia pareva dover tornare di nuovo a casa con le pive nel sacco, ma la sorpresa finale, ha reso il sogno qualcosa di reale, inatteso, forse più bello che mai, in un anno difficile per il nostro Paese e a poche giorni dalla scomparsa di un grande ed immenso artista come Franco Battiato, che proprio qui all’Eurovision Song Contest, quando si chiamava ancora Eurofestival, portò nel 1984 insieme ad Alice, il brano “I Treni di Tozeur”. Proprio quell’esibizione è stata riproposta durante la prima serata dell’evento all’Ahoy Arena di Rotterdam, in ricordo del grande Maestro.
I Måneskin, compiono quindi l’impresa, quando ormai non se lo aspettava più nessuno. Vincono con un brano cantato in italiano, cosa assai rara ultimamente all’Eurovision Song Contest, dove è sempre più che mai diffusa la rinuncia alla propria lingua madre per proporre brani in inglese. Ed è stato bello vedere il pubblico olandese alla fine, nell’esibizione dopo il trionfo, ripetere il ritornello “son fuori di testa, ma diverso da loro, siamo fuori di testa ma diversi da loro”, chiamato a raccolta da Damiano, come un mantra, come si ripetono le parole di grandi classici in lingua inglese, senza magari conoscerne il significato, ma che nonostante tutto, sanno darti emozioni, pur se non sai di cosa parlano.
Niente male per una band che cinque anni fa suonava per le strade di Roma, utilizzando le custodie degli strumenti aperte come “piattino per le offerte” di turisti e passanti che si aggiravano per le vie dello shopping della Capitale, via del Corso, via Condotti, Piazza di Spagna e altri luoghi adiacenti. Era quello il primo grande palco per i Måneskin, insieme a quello di qualche piccolo pub o locale delle periferie. È di fatto la loro storia, così incredibile a rendere tutto più bello.
Hanno superato tutti i pregiudizi: quello delle giovani band che fanno musica rock e che non se le caga nessuno (scusateci il francesismo), quello che in Italia non si può fare rock, quello che non c’è futuro per la musica. Il futuro c’è. E forse è grazie ai Måneskin se si scriveranno nuovi capitoli interessanti per la musica italiana.
Di band emergenti che sanno fare suonare ce ne stanno tante, probabilmente i Måneskin hanno avuto più fortuna di altri, ma hanno tracciato un sentiero, per i tanti che hanno ancora voglia di imparare a suonare uno strumento e hanno voglia di fare qualcosa di diverso, che non sia rap su basi pre registrate, o brani creati al computer, interpretati con utilizzo di campionatori vocali, ciò che ha permesso negli ultimi anni di far salire alla ribalta gente senza il minimo talento. La musica è cambiata veramente, è tempo che il rock parli italiano.
La vittoria dei Måneskin all’Eurovision Song Contest 2021 riporta anche la competizione in Italia dopo 31 anni, e la Rai ancora non annunciato il luogo dove si svolgerà la prossima edizione della rassegna musicale.