Una band composta da dieci elementi, nella quale Fabrizio Bosso si conferma star di questo genere, riscoprendo forme nuove, fusione e trasgressioni, che rendono ancora più accattivante l’ascolto di questo stile musicale, mai banale, mai vecchio. Ed i giovani hanno risposto in massa e allora diciamolo: “Jazz will never die!” (“Il Jazz non morirà mai!”)
La prima cosa che è saltata agli occhi la sera del 19 novembre alla Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica è stata la foltissima presenza tra il pubblico di molti giovanissimi. Una sala gremita dove era facile scorgere ragazzi poco più che ventenni, alcuni anche adolescenti che stavano la per ascoltare Fabrizio Bosso e la sua big band composta dall’unione del suo storico quartetto (Julian Oliver Mazzariello al pianoforte, Luca Alemanno al contrabbasso, Nicola Angelucci alla batteria più ovviamente se stesso) con la mitica “Swinging Duke” Orchestra di Paolo Silvestri, per un repertorio jazz fatto di improvvisazioni ed adattamenti del repertorio di Duke Ellington, curati e arrangiati dallo stesso maestro Paolo Silvestri. Uno spettacolo a dir poco sublime, dove il repertorio intramontabile di Ellington viene scientificamente analizzato, sezionato, scomposto e ricomposto; modellato saggiamente come fosse un vaso in costruzione sopra un tornio che gira, il vasto repertorio ellingtoniano viene adattato ai tempi moderni e si veste di suoni nuovi e classici allo stesso tempo. Gli viene costruita sopra una ritmica molto incisiva, con passaggi che sembrano appartenere più al mondo rock che a quello jazz. Lo si intinge di fusion, funky, bosa nova, foxtrot, blues. Eppure riesce, nonostante queste ricercate contaminazioni a rimanere saldamente integro: è sempre Duke Ellington, intramontabile ed immortale.
Fabrizio Bosso regala magie allo stato puro: dalla sua tromba escono note a volte tanto distorte da far credere che suoni un kazoo o faccia ronzare un calabrone vicino al microfono. Poi tutto diventa d’improvviso più canonico con la sua tromba che rilancia suoni di ineguagliabile raffinatezza.
Maestro indiscusso, Bosso è da molto tempo considerato uno dei migliori trombettisti jazz. Ma ogni volta che fa un concerto, pare voglia affermarlo con supremazia, come a stare li a dire: “Io sono il migliore!” O per lo meno pare voglia far capire a chi lo ascolta che può sempre e comunque strabiliare, stupire, sorprendere. Ogni volta, con il suo quartetto è gioia dei sensi, contemplazione di quello che è la musica, discostandosi da quello che invece, è pallida imitazione di musica. Bosso è sicuramente il miglior augurio che si può fare al jazz e alla sua lunga vita, affinché il jazz stesso non muoia mai, o per lo meno non perda il suo contatto con la “Terra dei Suoi Padri” degli States negli anni del Proibizionismo, dove tra locali clandestini coperti da nubi di fumo di sigari, si giocava d’azzardo e si beveva whisky, contravvenendo alla legge. In quei luoghi nasceva il jazz, che sarebbe poi diventato la prima vera forma di cultura americana, lontana dai canoni europei. In quei luoghi Duke Ellington ed altri “padri nobili” di questo genere come Benny Goodman, Louis Armstrong o Glenn Miller muovevano i primi passi per raggiungere un giorno gli dei dell’Olimpo e conquistarsi l’immortalità.
Il grande successo della serata, è una dimostrazione della grandezza di questo genere, capace di catturare, rapire, conquistare anche le generazioni più giovani. Il bis è stato richiesto più volte e sia Fabrizio Bosso che gli alti elementi di questa meravigliosa ensemble non si sono fatti pregare per regalare al pubblico nuovamente magia, magia e ancora magia.
Galleria Fotografica a cura di Fabio Spagnoletto