I racconti immaginari e reali di Davide Van De Sfroos sono giunti a Roma. Il viaggio del cantante tremezzino, che dalle sponde del lago di Como giunge alla Capitale per andare chissà dove, si colora di emozioni. Tra sonorità folk, atmosfere surreali ed intensa poesia ecco “il viaggio” di Van De Sfroos!
I dialetti sono un patrimonio irrinunciabile della nostra cultura e non si potrà vivere il futuro se perderemo le nostre radici. Ecco perché il lavoro di Davide Van De Sfroos sceso alla conquista di Roma, non è di poco conto.
All’interno di uno scialbo panorama musicale in Italia, la poesia surreale cantata nel dialetto delle piccole comunità del lago di Como, ha un valore inestimabile: è il patrimonio culturale dell’Italia intera, rupestre e selvaggia, quella che non deve essere dimenticata. Dimenticare le origini, significa rinnegare se stessi. Van De Sfroos, di queste origini è talmente fiero, di fare una bandiera della sua forma artistica.
A Roma giunge per un concerto alla Sala Petrassi, lo scorso 14 gennaio: il cantante lombardo apre con un omaggio al collega simbolo del Sud qual è Pino Daniele accompagnando con una traduzione recitata in italiano la melodia di “Quanno Chiove” eseguita dal violino di Anga Persico che lo affianca in questa tournée. Due vite e due tradizioni diverse, unite dalla passione per la musica. L’omaggio di un signore del Nord, “el sciur” Davide che con commozione ricorda il suo grande collega partenopeo.
Più che una tournée, questo “tuur teatraal” a supporto di “Goga e Magoga“sesto album in studio del cantautore distribuito dalla Universal Records, esso è un viaggio… Di viaggio parla il tour, di viaggio parla il disco, in quanto “Goga e Magoga” non si richiama alle leggendarie figure presenti di Gog e di Magog presenti nel libro biblico dell’Apocalisse di San Giovanni, bensì a un modo di dire dialettale ovvero “andare in goga e magoga“, che sta per “andare molto molto lontano” o andare “non si sa bene dove“.
È per questo che ogni brano tratto da questo album ha un suo sapore unico e crea una suggestione alquanto particolare. Districandosi tra il suo dialetto e le mille lingue che ama utilizzare durante i suoi racconti, Davide Van De Sfroos, parla di maghi e di streghe, di castelli incantati e di favole. Dall’ultimo album vengono tratte le canzoni “El calderon de la stria”, “Ki”, “Il viaggiatore”, la bellissima e struggente “Il dono del vento”, “Infermiera”.
Molte volte il pubblico non capisce forse il testo o quello che Davide vuole dire, ma poco importa: la musica è il messaggio universale, quella cosa che riesce ad unire tutto in un unico grande abbraccio. Del resto lui stesso ebbe a dire una volta: “Alla radio si ascoltano tante canzoni in inglese, non si capisce niente, ma piacciono lo stesso”. Chi può dargli torto?
Il tremezzino comunque resta un dialetto delle nostre parti e qualcosa li almeno si comprende.
Ma, tornando al concerto, diciamo che è stato davvero uno spettacolo di notevole impatto, grazie anche alla folta cornice di pubblico. Numerosi coloro che seguono il Davide lombardo da più tempo: conoscono quasi tutto di lui e ogni sua parola, battuta o cenno non è un mistero. Per quasi due ore il cantautore ha la possibilità di raccontare le sue storie affascinando la sala composta anche da alcuni bambini e da un pubblico omogeneo di età (molte le famiglie con bambini al seguito).
Nessuno riesce a disturbare la sua concentrazione nel reggere il filo logico del racconto tra un brano ed un altro, tranne forse una leggera scordatura della chitarra, che un po’ lo riporta al mondo che lo circonda (nessuno stimolo del pubblico che lo chiama per nome e lo applaude, riesce a farlo uscire per un attimo fuori dal contesto fiabesco dei suoi monologhi).
Ma Davide Van De Sfroos è anche questo: recitazione, teatro, narrativa, poesia. Un po’ tutto lo scibile che si trova nei cantautori più profondi e radicali. La poesia è fiera nei testi delle canzoni di Davide Van De Sfroos, come nei suoi racconti: passi di rara bellezza, aggraziati dalla magia del suono acustico di Davide e compagni: “Chi ha supplicato il ragno della ringhiera di ricucirgli tutto il passato prima di sera?” e “Chi ha consumato il suo Dio a furia di pregarlo e di ripregarlo per la paura di viver tutto e di non capire per la vergogna mai digerita di dover anche morire?” – sono due passi che si possono ascoltare nel brano “Chi”. Oppure “i giunchi oscillano e oscillano che altro non possono fare e qualcuno di loro ha maledetto il suo ballo,qualcuno ha perfino pregato di esser tagliato” è un passo de “Il Dono del Vento”. Storie di personaggi veri (?) o inventati: el Ziu Toni, la Nonna Lucia, il Costruttore di Motoscafi, il mago, il viaggiatore. Giovannino Guareschi avrebbe sicuramente usato il suo “storie vere che sembrano fiabe, o fiabe che sembrano realtà? Difficile dirlo, difficile!” per commentare i racconti di Davide. Qualcuno forse è esistito, come lo strano Noé che Van De Sfroos racconta nella sua visione de “Il Diluvio Universale”. Poi c’è “Yanez” che non è più quello di un tempo, come non lo è Sandokan e nessuno del racconto di Salgari. E poi ancora “Il Libro Del Mago” e l’ “Akuaduulza” (“acqua dolce”), “Sciur Capitan“, “La Ballata del Cimino” e molti altri nel suo mondo che concede al pubblico intervenuto.
Galleria Fotografica a cura di Giampaolo Vasselli