Calcutta è un po’ l’emblema di questa generazione. Precaria, demolita in cerca di una rivincita, per certi versi ingenua ma urlante, e al Monk Club la sera del 19 dicembre era presente una grande rappresentanza, per un concerto è sold out già da diversi giorni
Le cronache riportano un Edoardo Calcutta dar vita a spettacoli in stile lo-fi, anche un po’ strampalati, tra le mura di piccoli locali della Capitale. Lui stesso lo ricorda durante il suo concerto, affermando che “è una festa e quindi possiamo anche suonare male” a tutti quelli che lo amano e lo seguono da sempre, appiccicati e sudati assieme a tanti altri che hanno cominciato ad amarlo dall’uscita del suo nuovo album “Mainstream“.
Tutti indistintamente cominciano a cantare a squarciagola già da “Limonata“, brano con cui apre il concerto romano al Monk Club.
A seguire “Frosinone” che fa urlare tutti ancora più forte “ti giuro che torno a casa e mi guardo un film“, come fosse un coro da stadio per il “Frosinone in serie A”.
La caratteristica di Calcutta è proprio questa, riuscir a mescolare il gusto squisitamente agrodolce pop della sua musica con testi che esprimono le difficoltà e il disagio della sua generazione, e lo urlano ma con una buona dose di tenerezza. Emblematico è il testo di “Gaetano“:
“Suona una fisarmonica / fiamme in un campo rom / tua madre lo diceva non andare su youporn”
Un salto nel passato con “I dinosauri” e “Pomezia“, poi “Dal Verme” e “Del verde“, fino al quella che oramai si può considerare una hit “Cosa mi manchi a fare”.
Purtroppo lo spettacolo di Calcutta dura troppo poco rispetto alla voglia di fare festa insieme, ma la produzione discografica per ora non potrebbe permettere di più ma quel poco che c’è è veramente roba forte. È da top della classifica. È Mainstream.
Galleria fotografica a cura di Fabrizio Di Bitonto