I Bayou Moonshiners sono Stephanie Ghizzoni e Max Lazzarin, due artisti provenienti da esperienze musicali differenti, ma con un denominatore comune: l’amore per New Orleans
A più di un decennio dalle conseguenze catastrofiche – naturali, umane e sociali – dell’uragano Katrina, New Orleans attraversa l’ennesima rinascita culturale. Blues, gospel, jazz, rock e hip hop risuonano, più sincopati e funky che mai, dall’uscio dei club dei quartieri dove ogni sera è Mardi Gras. Città aperta per antonomasia, la Crescent City rimane il riferimento per praticanti di fertile musica meticcia in tutto il mondo.
Anche l’Italia ne ha. Due di loro sono maestri di interpretazione, improvvisazione e immaginazione di rilevanza planetaria. A lungo attivi come leader o graditi ospiti di primarie formazioni, hanno unito le loro forze, ripensandosi come Bayou Moonshiners, ovvero fabbricanti-in-proprio-di-superalcolici-nelle-maremme-di-Louisiana. Erano insieme da poco più di un anno quando conquistarono il primo posto, nell’autunno del 2016, alle selezioni italiane; rappresenteranno il blues made in Italy al prossimo European Blues Challenge, in Danimarca.
Si tratta di Stephanie Ghizzoni e Max Lazzarin, divertenti ma serissimi reinventori di musica veneranda: “My Indian Red” è un antico inno dei locali indiani metropolitani che sfilano per il carnevale, “Down By The Riverside” appartiene agli albori del gospel e la folk ballad “Cabbage Head“, un caposaldo dell’orleansiano Professor Longhair, risale al rinascimento inglese.
Il loro album d’esordio “Living Live“, registrato dal vivo in studio, di fronte a dodici fortunati discepoli, non cerca forzati ammodernamenti ma coglie il senso vitale – immortale, viene da dire – del repertorio legato alla Città del Delta, a cui aggiunge un felicissimo brano originale, “Tell Me More“, autentica dichiarazione d’amore per tradizioni e personaggi del luogo.
Come nelle migliori esecuzioni, la musica evoca immagini: stivaletti in pelle di alligatore, impolverate piume di struzzo, bottiglie di assenzio e teschi che battono i denti come nacchere. La stessa attrezzatura che i due artisti veneti esibiscono sul palco, a ricordo della subcultura che si vende al dettaglio sulle bancarelle del vecchio French Market. Tutta paccottiglia cheap, buona per i turisti? Dicevano lo stesso anche di Fats Domino, Lee Dorsey, Dr. John e Lillian Boutté.
Come quella degli ispiratori, anche quella di Steph e Max è arte.